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Ricordi fuori dal coro(na) seconda parte

Per distrarmi da questi cattivi pensieri mi davo appuntamento ogni pomeriggio con il bollettino del capo della Protezione Civile, Borrelli. Era l’unico appuntamento televisivo che seguivo perché Blob, l’unico programma davvero necessario per la comunità e uno dei pochissimi a non avere un pubblico e uno studio, veniva clamorosamente sospeso salvo poi essere ripristinato. Comunque la conferenza di Borrelli mi rilassava e si conciliava con la cyclette, soprattutto per le timide domande dei giornalisti e per le non risposte di Protezione civile e Istituto superiore della Sanità.

Lui mi stava simpatico, forse perché ad ogni domanda iniziava ogni risposta come lo faceva mio nipote, dicendo Allora.. Ormai tutto, i telegiornali, gli aggiornamenti, i siti web, le conferenze stampa, i martellanti spot sulle precauzioni, tutto era diventato una meta distrazione, non so esattamente cosa voglia dire ma qualsiasi parola con meta come suffisso fa figo, per cui lo dico.

Eravamo in un loop dell’ultima ora. Ne parlavano tutti, ne parlavamo tutti.

Così tanto che mio nipote di quattro anni, Lorenzo, un giorno esplose e ci gridò: Avete rotto con quetto catto di coronavirut! Avevo già scritto una Poesia della T, quelle sue parole me ne stavano inspirando un’altra ma non c’era tempo, dovevo intrattenerlo, lui e l’altra, dovevo allontanarli da quel ginepraio mediatico insopportabile.

Come facciamo chiesi loro? Zio Titto facciamo che ci barrichiamo e devono arrivare gli Zombie dice Lorenzo, Si! Facciamo finta che dobbiamo fare una serie Apocalisse Zombie! aggiungeva Alisia. Insomma da un ginepraio all’altro, con una natura simile. Con tanto di sigla di Profondo rosso, e di.. nelle puntate precedenti iniziale con mia nipote che riepilogava la sceneggiatura del giorno prima.

Difficile evitare il contatto con loro. Ma il divieto pubblico, seppur fastidioso in quanto imposto, a me non dispiaceva.

Quanto ne era stato sprecato, quanto contatto era stato dato per scontato, quanti abbracci superficiali, quante strette di mano fasulle, quante ipocrite pacche sulle spalle, quante carezze forzate, quanti baci pigri.

Ci stava un periodo per ripensarlo il contatto.

Dopo ci sarebbe stato sicuramente una voglia di contatto senza precedenti, ci si sarebbe sbronzati di contatto. A me non mancava chissà quanto, mi ero inaridito da tempo e avevo cominciato a bastarmi, pericolosa strategia istintiva e auto difensiva ma di questi tempi mi sentivo armato per questo tipo di sopravvivenza.

Il weekend finalmente non mi avrebbe regalato, a me come a tanti, l’illusione che potesse succedere qualcosa di particolare.

Ma per una sorta di sicurezza psicologica pensai.. vado a comprare qualcosa.

Andai al supermercato, fila fuori con distanza di almeno un metro, il direttore che scandiva il ritmo degli ingressi che dipendevano dalle uscite.

Davvero interessante, anche se pensavo, sbagliandomi, che dentro ci sarebbe stata ancora meno gente. Volevo provare il brivido di sentirmi nel centro commerciale in quel capolavoro di film di George Romero, Zombi del 1978, più precisamente L’alba dei morti che veniva dopo La notte .. e prima de Il giorno .. , rispettivamente secondo, primo e terzo capitolo della celebre saga sui morti che resuscitano.

Vino, birra, patatine e arachidi, per adesso poteva bastare. Al resto, l’essenziale, ci pensava mia madre.

Non per molti altri che erano entrati nella ingenua ottica delle scorta. Per me l’unica scorta importante era quella del mare. Così ogni tanto andavo a controllare che non se lo fossero andati a spartire come se fosse pasta o zucchero. No, era lì, nella sua infinita immensità, nel suo moto quotidiano così perenne, così perpetuo ma mai uguale a quello del giorno prima.

Mare mare mare voglio annegare Portami lontano a naufragare

Via via via da queste sponde Portami lontano sulle onde..

Dovevo respirare il più possibile per poi trattenere il fiato mentre Amadeus ed altri ribadivano di stare a casa, di lavarsi le mani, evitare i luoghi chiusi e affollati, evitare gli assembramenti, non uscire se non per casi di necessità .. E reggere al regime giornalistico del deserto delle stazioni, delle piazze, dei locali.

Mi chiedevo se ero pazzo io che il deserto lo vedevo prima dell’emergenza virus o se erano pazzi loro che lo vedevano soltanto adesso. Tornai a casa e arrivava notizia del primo caso locale..

Il paese vorace come un piranha aveva già il nome dell’appestato pochi minuti dopo l’annuncio del sindaco. Il panico aveva la stessa sorte del contagio, aumentare.

Così come la drasticità delle misure. Ogni giorno gli argomenti di paura si moltiplicavano, il cellulare, l’abbigliamento, gli occhiali, anelli, bracciali, orologi, tutto poteva essere ricettacolo di germi, batteri e ci starebbe una bestemmia ma mi risparmio il jolly e me lo gioco un’altra volta.

Potevo evitare di seguire il trend dell’informazione? No.

Mi interessava seguirlo, vedere come degenerava il gioco. Ma la cosa che mi premeva di più era sempre la stessa, pensare a cosa sarebbe potuto cambiare dopo. Si sarebbe tornati alla deprimente normalità di prima? Si, ne ero sicuro. Pochi avrebbero fatto tesoro di questi eventi eccezionali. L’economia basata sugli esercizi commerciali, sulla piccola, media e grande imprenditoria, sui centri commerciali e sui supermercati, sui liberi professionisti e sulle partite iva, sui viaggi, sul turismo e su tutto il resto avrebbe ripreso a trionfare. Ossessionato e scoraggiato da questa desolante certezza, avevo quasi dimenticato che il giorno in cui la nazione si scopriva coinvolta seriamente nella catastrofe, io ricevevo una telefonata di dodici minuti seguita da una proposta editoriale di coproduzione della mia silloge. Editoria a pagamento. Che tristezza. Mi sentì basito e intellettualmente offeso.

Vietati quelli tra le persone nello spazio pubblico, gli assembramenti dei pensieri nella mia testa ancora erano permessi, dividendosi tra quelli di una certa sostanza e quelli ridicoli. Pensavo ai venditori di frittola (frattaglie di vitello) tenuta calda dentro grandi cesti in vimini o alle mitologiche stigghiola (budella di agnello, capretto o vitello) : da ora in poi si sarebbero dovuti lavare le mani col sapone o con l’Amuchina compromettendone irrimediabilmente il sapore per il resto della storia dell’umanità?

Pensavo al duro colpo che da ora in poi veniva inflitto alla conflittualità intrapopolare palermitana ovvero il cosiddetto aggaddo, decretando, forse per sempre, la fine della testata, marchio di fabbrica della rissa da strada.

Come sempre, mi piaceva pensare a cose surreali anche se più surreale di ciò che stava succedendo ci poteva essere ben poco. Inoltre da un giorno all’altro si rimbalzava da una restrizione all’altra.. Eravamo arrivati al tutto chiuso tranne alimentari, farmacie e pochi altri e alla certificazione della giustificazione se si usciva da casa. E altrettanto quotidiana era la volubilità delle fake news, delle tesi complottiste, da dove veniva questo virus, chi c’era dietro, la terza guerra mondiale e altre centinaia di ipotesi.

Io non ci pensavo e se ci pensavo, pensavo alle solite cose: saremo nei guai dopo, io sicuramente più di tutti. Prendeva sempre più corpo l’idea di rifiutare proposte di lavoro in estate.. Sarebbero stati tutti dannati nel recupero del tempo/danaro perso e le esigenze della produttività non avrebbero guardato in faccia niente e nessuno, neanche un invalido al 75%.

I giornali e i giornalisti non sembravano avere i miei timori. Parlavano tutti della tempesta perfetta, del diavolo, della borsa che crollava, la speculazione finanziaria, il pil, la crescita, l’Europa che non ci aiutava, riuscivano a far dire a politici di primo piano il contrario di quello che avevano sostenuto la settimana prima. Parlavano di tragedia umana e catastrofe economica. Beh, sulla seconda in effetti come non essere d’accordo. Sulla tragedia umana continuavo a pensare che carcerati, immigrati e gente che si trovava in teatri di guerra o che tentava di sfuggire a torture e repressione di regimi continuava a vivere tragedie più gravi.

D’altronde sacrificavamo da decenni le nostre vite per vivere di comfort, godiamoceli. La tv e gli altri elettrodomestici, il pc, la cyclette, il divano, il letto. Mica qualcuno ci frustava in casa..

Innegabile ovviamente l’inimmaginabile disagio che stava investendo tutte quelle persone costrette a lavorare in aziende che non producevano beni essenziali e tutte quelle persone che seppur coinvolte nella produzione di beni e servizi essenziali non venivano tutelate con le dovute precauzioni sanitarie. E medici e infermieri in trincea, in prima linea, ne morivano a decine perché spesso non venivano rifornite dei dispositivi di sicurezza. E infine tutte quelle persone che senza poter fare soldi rischiava la sussistenza a causa della mancanza di tempestività di quel governo da strapazzo che ci trovavamo (per non parlare dell’opposizione sciacalla e populista che assecondava la pancia dei social senza alcuna coerenza politica e senza alcun tatto umano rispetto alla strage)

Ma mi chiedevo: chi poteva temporeggiare con lucidità, in virtù di ammortizzatori sociali, cassa integrazione o altro, avrebbe però potuto apprezzare certe cose che apprezzavo io? A quanto pare si. Me lo fece scoprire un caro amico barista, grande lavoratore che come molti altri si trovava spaesato senza le abitudini legate al lavoro a tempo indeterminato.

Mi sorprese quando sceso da casa per andare a fare la spesa mi mandò un audio dicendomi che questo scenario non gli dispiaceva del tutto perché non si vedevano più ricchi e poveri e sembravamo tutti gli stessi.

Purtroppo, però le differenze di classe esistevano eccome anche nella pandemia: vip, calciatori e politicanti riuscivano ad avere il tampone per accertare l’eventuale contagio molto più velocemente dei comuni mortali che in molti casi addirittura morivano nell’attesa e senza la benedizione del tampone.

Ed inoltre si sarebbe amplificata la disperazione di tante persone che già lottavano per la sopravvivenza prima dello scoppio della pandemia.

Speravo che ognuna di queste persone avrebbe trovato una minima sponda di solidarietà.

Che l’Italia non fosse stata tutta come il parlamento che la rappresentava.

Parlamento che quasi in blocco aveva una reazione tarantolata al cospetto di una timida proposta di un contributo di solidarietà: un prelievo biennale per l’emergenza, il 4% per i redditi oltre 80 mila euro, il 5% oltre i 100 mila, il 6% oltre i 300 mila, il 7% oltre i 500 mila e l’8% oltre il milione di euro.

Pensavo che se fosse mai esistito un giorno in cui si sarebbe tornati alla normalità, ci sarebbero state grandi boccate d’aria e sbronze memorabili. Ma per molti sarebbe stato il ritorno al lavoro e alla produttività il goal più importante, una medaglia, una coppa per chi aveva resistito forzatamente fuori dal campo e fremeva ogni giorno per un immediato ed entusiasta rientro.

Sarebbe stato bello come il triplice fischio finale dell’ultima partita dei Mondiali del 2006. Ed io, come in quell’occasione, sarei probabilmente rimasto indifferente.