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Recensioni su Trilogia del caos

Anche nel caos c’è metodo – Lucia Guidorizzi

28/11/2021

Pochi poeti sanno usare l’arma sottile dell’ironia e talvolta, quando si arrischiano ad adoperarla, in realtà ne fanno un uso inautentico, spesso intriso di autoreferenzialità. Ironia è esercizio del distacco e consiste nel saper essere spietati con se stessi, evitando d’indulgere e appartiene a quel retaggio di derivazione filosofica cinica e stoica che permette un’autentica libertà di pensiero. Ancor più arduo è esercitare l’autoironia, senza cadere in comportamenti istrionici e narcisistici. Molti si adagiano in una visione del mondo ad usum delphini e non ne escono più, diventando le caricature di se stessi.
Tutto ciò non appartiene a Francesco Paolo Maccarrone, la cui vis poetica sgorga autentica ed è capace di andare ben oltre e che con coraggio e inflessibilità, sa prendere le distanze da se stesso. La sua poesia raccoglie l’eredità graffiante e scomoda della Scapigliatura, intrecciata con la tradizione sapienziale siciliana, pur muovendosi in piena autonomia ed originalità.
“Trilogia del caos” Eretica edizioni 2021, è un libro intenso, in cui il plurilinguismo costituisce un ricco impasto tra siciliano, spagnolo, italiano che rende il ritmo vivace e coinvolgente. La raccolta è divisa in tre sezioni “Passapitittu”, “Lapalissiano”, “Improduttivo” che ci offrono una lettura della quotidianità attraversata da lampi di dissacrante ironia.  L’autore gioca con la leggerezza che gli deriva dalla profondità del suo sguardo sul mondo. La sua consapevolezza però non s’arroga il compito di imporre un “modus vivendi” o “operandi”, in quanto la sua visione è perfettamente consapevole dell’insensatezza del vivere. In lui si percepisce quel nomadismo erratico che ricorda l’epicità di Blaise Cendrars e il lucido pessimismo, il nichilismo oscuro di Albert Caraco.

BRIVIDI D’AUTUNNO

Foglie adulte civettano
con il vento prematuro di settembre
Sottovoce suggeriscono:
“ Salutate la pausa frettolosa!”
La pioggia battezza le strade
Il tempo tiranno sghignazza:
“Da ora al Natale avanti tutta!”
E da lì a Pasqua, avanti ancora
E di nuovo ci si fermerà
solo sotto il sole
prepotente, di un altro agosto
E da lì, ancora
giungeranno improvvisi
timidi e freschi il vento
e i brividi d’autunno

L’impermanenza e la precarietà, l’incertezza e l’insicurezza sono la cifra stessa del vivere, ma questo non è vissuto come scacco, piuttosto come libertà di vedere autenticamente lo stato delle cose. La disinvolta nonchalance nell’affrontare i guasti del vivere in realtà è una forma di tenerezza per l’inadeguatezza umana. Poesia è dichiarazione d’intenti, poesia è tutto e il contrario di tutto.

BETADINE

La mia poesia mi somiglia
Caotica, pigra
Irregolare, indomabile
Irrequieta, squilibrata
Osservatrice, sognatrice
Visionaria, spudorata
ma non abbastanza, vera
ma a volte falsa
Lunatica, disillusa
Umana, frastagliata
Frammentata, immatura
In divenire, altrove
Desiderio, altro
No categorie, no riduzione
Sì tutto e sì niente
Attenta al tutto, ma anche al niente
E disinfetta, come il Betadine

Con grande abilità, Francesco Paolo Maccarrone adopera stili e registri diversi, facendo  cozzare l’aulico con il prosaico, talvolta si lascia andare al piacere dell’enumerazione e della ripetizione  che  fa assumere ai suoi testi  la formula di una filastrocca o litania.

ELOGIO DEL DISTACCO (IN SI MAGGIORE)

Si perde la bussola?
Si prende un’altra strada
Si perde il senso?
Si ricomincia da capo
Si stacca un’insegna?
Qualcuno la ricorderà
Si smuove la terra?
Si vede cosa c’è sotto
Si stacca tutto
E tutto si riattacca

Essere poeta è rientrare nei canoni o superarli? Essere poeta è percorrere quel crinale franoso e sottile che permette di cogliere le insufficienze e le aporie del vivere, essere sempre sul punto di diventare qualcos’altro senza esserlo mai. E allora ecco che nel penultimo testo della silloge “Amico mio, sbronziamoci” viene raccolto l’invito di Charles Baudelaire : “Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.»  da “Lo Spleen di Parigi”

(…)

Chiedi un sesto, ultimo bicchiere
d’oro, dedicheremo questo giro
alla misteriosa magia del sole
che ogni giorno sorge
all’amore tenace per la vita
che di bicchiere in bicchiere cresce
a quell’inesauribile spirito d’amicizia
che in noi, ogni giorno, rinasce

Anche nel caos c’è del metodo.

Lucia Guidorizzi

 

31/10/2021

Il poeta senza paura in attesa al PatronatoAntonio Cipriani

La poesia è bella. Il suono della poesia, delle parole che si inseguono in versi, dei silenzi che ti fanno attendere il prossimo autobus, dello zigzagare dei significati che spiazzano il comune ardire e animano visioni che non avresti mai pensato di possedere.
Bella, di strada. Di sogno e di lotta. Di cori annebbiati lungo le piazze perdute, di dimenticati sonori, lacrime e nuvole senza un cielo dove andare.
Non sono tra quelli che temono la poesia, la leggo e mi piace. La ascolto e mi esalta. Non sempre. Non tutta, non necessariamente.
Però quando appare è come un miracolo. È un miracolo.

L’altra sera, come per sbaglio, è apparsa tra le note di due musicisti e la voce di un giovane poeta siciliano che, viandante, si è fermato nel nostro luogo d’incontro. Avevo letto i suoi versi e mi sembravano interessanti. Ma quando quelle parole si sono fatte corpo e sostanza, voce e mani nel vento, ho capito che avevano qualcosa in più. Possedevano vita. Francesco, questo il nome del poeta, con la sua barbetta da studente-lavoratore e la magliettina gialla, era poesia. Lui attraversava le sue pagine dormendo sulle panchine, perdendosi nel traffico e nei ricordi, indifferentemente, dopo aver percorso milioni di passi e aver frequentato 13 corsi di formazione, dopo aver fatto 20 lavori, 2560 prelievi e 74.195 sogni.
Lo guardavo affrontare a testa alta la realtà come raramente capita di vedere. In una forma assurda e rivoluzionaria, paziente e rabbiosa, testarda, senza resa anche di fronte alle ore passate in attesa al patronato. Con quel filo di ironia che spiazza e ricompone scene di vita, mostrando contraddizioni e punti di vista nella zona d’ombra. Non abbiate paura, ci sorride beffardo. E canta il corriere, il magazziniere, il disoccupato, il venditore di collanine, il paziente in ospedale, il siciliano a un bar di Milano, l’attesa di un lavoro, dell’alba, dell’amore. E poi la fine del giorno, gli amici, le sbronze belle con gli stessi amici.

Vive di vita sua
la vita mia
maiuscola e ribelle creatura
acrobata tra realtà e utopia
spia l’infinito
dall’umana fessura
intenta ad unire
i puntini delle stelle
intenta a non voler
disegno alcuno
a stento trattenuta
da occhi e pelle
affinché non rimanga
lo spirito digiuno.

Una poesia, la sua, che non glorifica il poeta, ma celebra la comunità. Canta tutti noi che ce la facciamo faticando, le nostre incertezze, i sogni nel cassetto, gli amici sbiaditi, le lingue che non sappiamo parlare. Corale. La sua voce è la nostra. E così la sua fatica, e così le sue scommesse.
Noi siamo la sua gente. Concludo queste righe citando un poeta spettacolare, Pedro Pietri e la sua “Poesia d’amore per la mia gente”.

Poesia d’amore per la mia gente
non lasciate
che lampade artificiali
disegnino strane ombre
di voi
non sognate
se volete che i vostri sogni
s’avverino
sapevate cantare
anche prima che
vi venisse rilasciato un certificato di nascita
spegnete lo stereo
che questo paese vi ha dato
è fuori uso
il vostro respiro
è la vostra terrapromessa
se volete
davvero sentirvi ricchi
guardatevi le mani
è lì
che si trova
la definizione di magia

Ps: Il poeta di cui parlo di chiama Francesco Paolo Maccarrone, ha pubblicato un libro che si intitola: Trilogia del caos. La sera del miracolo hanno suonato con lui Andrea Andy Carrieri e Cosimo Dell’Orto. Emozione pura, contro la resa incondizionata e culturale del tempo.

 

10/01/2022 – Martina Riina

Quando ho letto per la prima volta la poesia in copertina ho pensato che fosse estremamente appropriata tanto al rosso quanto all’eresia, così come all’essere beffardo nei confronti della vita e al contempo volerle bene. Quando poi mi sono addentrata nella trilogia, quel pensiero ha trovato conferma ulteriore, perché le poesie che vi ho trovato hanno il colore del sangue, della carne e della lotta tra tiranni ed eretici gentili, che non hanno sacrificato all’altare del dogma la possibilità di conoscere e immaginare. Mi è sembrato di scorgere un pesce d’acqua dolce che si tuffa in quella salata, e che per qualche ragione riesce a stare in armonia in entrambe le acque, sopravvive a due stati conosciuti e sconosciuti, familiari e distanti, che sono le superfici dure della vita e le sue morbide pareti nascoste dietro un sentimento o un affetto. Leggendo e saltellando tra le pagine di Francesco, tra parole che sanno dove andare senza aggredirsi tra loro, si sorride e si ammicca ad una certa scaltrezza, che come nei migliori racconti e pellicole di altre epoche, meno scontate e scontrose, suggerisce non una vita colma di rimpianto o fatiche da rivendicare ma la voglia di raccontarne tutto lo strato apparente e non, ironico e amaro, umoristico e faceto, simpatico e urticante, che non giudica e non fa alcun biasimo, alcun paternalismo, bandito ogni pensiero moralista di bassa lega. Ma anche nelle ideologie libertarie, che di tanto in tanto affiorano, il ragionamento sulle asimmetrie di potere non soffoca mai la possibilità di intuizioni inedite, poetiche alterate del vivere e del morire, della presenza e dell’assenza nella storia umana del presente, ricercando anche altrove una qualche umanità, frammenti di quotidianità, famiglia, amicizia e lavoro che dalle immagini, dalle fotografie, dai quaderni, dai giornali, dalle riviste, dai cartelloni pubblicitari, dalle lettere, dalle copertine dei libri volteggiano sino a noi lettori, trovando collocazione in un vivido mosaico di voci e umori. Sembra di conoscerne persone e animali, cose e situazioni, pensieri, emozioni, dolori, che sono suoi e in fondo non ci appartengo, eppure sì.

 

23/07/2021 – Alberto Mirone

I versi di Francesco sono uno stimolante, suggestivo e piacevole viatico per cui rileggere la vita di ogni giorno attraverso gli occhi, la sensibilità e l’inventiva di un’altra persona; se hai la fortuna di conoscerlo, ti si apriranno le porte di un reame sospeso tra il sogno e la veglia dove regna il puro disincanto nei confronti dell’esistenza, con tutto il suo carico di storture, miracoli e rivelazioni; diversamente, ci si godrà il viaggio quasi allo stesso modo, anzi con una punta di curiosità in più circa le sorti e le ragioni dell’autore. Lettura consigliata per chi crede ancora che le parole sono veramente importanti, cioè autentiche, solo e soltanto quando si scrive, sulla base del fatto che mettersi così a nudo attraverso la parola equivale al riconoscere di non potersi nascondere, specie se a lungo, agli occhi di chi ti osserva. Voglio rileggerti presto, amico mio. Bravo.

 

28/06/21 – Edoardo Mastrandrea

La trilogia è un’emozionante raccolta di momenti, di pensieri, di risate e perché no, anche di amarezze. La vera peculiarità è l’autenticità data in modo assoluto dal modo di scrivere del Maccarone. La sua penna scolpisce i momenti e i pensieri nello stesso istante in cui li vede. Il lettore ha quindi modo di avvicinarsi ai suoi ricordi più intimi, al suo essere, alla sua anima, in maniera diretta come quasi mai accade leggendo. Un’altro aspetto clue della trilogia è il retrogusto agrodolce che lascia in bocca. Sebbene certi brani sparino a zero su tutto, annientando ogni sovrastruttura pseudomoralista della società, il lettore non viene mai afflitto dal decadentismo nichilista. Ciò avviene perché fuoriesce sempre la vera anima del Maccarrone, un insaziabile romantico. Egli si nutre di emozioni e le ricerca disperatamente e costantemente in tutti i momenti della giornata e in tutte le circostanze della vita. Inoltre ha la dote e la capacità di notare il Bello, come unico.