Non ho mai capito l’ufficio
Non ho mai capito l’ufficio.
Non ho mai capito molte locuzioni collegate all’ufficio.
Sono in ufficio, Vienimi a trovare in ufficio, Mi trovi in ufficio dalle x alle y e dalle w alle z, Sto uscendo adesso dall’ufficio dopo 8 ore.
Non capisco tutto l’insieme degli oggetti da ufficio.
Singolarmente la scrivania, il calendario, diagrammi e lampade varie, snodabili o meno, sedie e poltrone girevoli, calcolatrici, scaffali e cassettiere, il buon vecchio telefono fisso, possono essere oggetto di narrazione altra ma tutto l’insieme lo trovo deprimente.
Dell’aria condizionata non parlo qui perché è una delle cose per me più insopportabili e merita di essere trattata altrove, magari nel prossimo capitolo de Le cose che non capisco.
Però molto di quello che riguarda la cancelleria mi piace e, a prescindere dal senso o dalla funzione, circondarsene mi sa di allegria variopinta.
Matite, penne, pennarelli, gomme, temperamatite, forbici, tagliacarte.. Sarà perché ci cominciamo a giocare da bambini e li rivedo teneramente nelle piccole mani dei miei nipoti.
Ma l’ufficio sa di grigio, pur se travestito di altro colore o arredato in maniera alternativa.
Probabilmente se si chiamasse ufficina mi saprebbe di altro, di un grigio un po’ più sporco e meno morto.
Non capisco l’idea che si debba andare in ufficio e che una volta usciti ci si debba per forza ritornare il giorno dopo e non, per esempio, quattro giorni dopo.Attenzione, perché il cosiddetto smart working che ha fatto scoprire a molti che l’ufficio può favolosamente coincidere con lo spazio casalingo di riferimento non ci salva dai rischi e dagli effetti collaterali dell’ufficio come attitudine, diciamo l’ufficitudine.
In primis, rischi di non uscire più se hai anche l’ufficio a casa e al posto delle cialde puoi godere della tua carissima amica moka.
In ufficio si lavora da soli, ognuno in uno spazio proprio o insieme, ma sempre per una causa specifica, quella del gruppo, della squadra di appartenenza.
In ufficio si hanno degli obiettivi e, tramite un’accurata pianificazione, si deve produrre.
Ti puoi anche girare i pollici per un tempo imprecisato ma alla fine qualcosa la devi produrre, i risultati devono venire fuori.
L’ufficio è il punto di non ritorno per un pigro, per un improduttivo, per un nullafacente, per un ozioso: se varchi quella soglia devi lasciare ogni speranza di non far niente o di fare tutt’altro.
Nessuno, che sia un’istituzione pubblica o privata o un’associazione, ti offre i comfort e le coccole delle colleghe e dei colleghi di un ufficio se non concorri alla causa comune dell’obiettivo.
Il lavoro di gruppo e per il gruppo produce le dinamiche tipiche della competizione noi/gli altri ma questa è un’altra storia che forse affronterò in un’altra vita nella quale finirò la mia vecchia specialistica in Sociologia, magari con una tesi dal titolo ‘’Logiche e dinamiche dei gruppi e ,in particolare, dei gruppi di lavoro“
Invece a chi è destinato a lavorare per conto proprio in ufficio, senza gruppo, senza squadra, in solitaria beh a costoro io dico non temete perché quando uscirete per strada o andrete a bere qualcosa potrete sempre incontrare un altro essere umano con cui parlare e che vi possa far dimenticare o che vi possa, quantomeno, alleviare le pene da ufficio.
A patto che lo si voglia incontrare.
Posted: Settembre 7th, 2020 under Le cose che non ho mai capito.