Non ho mai capito quell* che suonano il clacson prolungato in casi di non emergenza
Per esempio per sollecitare la velocità in un parcheggio o in generale per mettere fretta nel bel mezzo di una coda di macchine.
Non capisco perché prima non si sperimenta il colpetto a bassi decibel che potrebbe bastare ad ottenere l’effetto voluto dall’intento.
No, si parte diretti e peeeeeeeeee per poi degenerare ulteriormente con tanto di devastanti rincorse sonore sul trampolino della rabbia pe, pee, peeee peeeeeeeeeeeee.
Si, lo so che dietro e dentro ci stanno tante cose.
C’è l’inevitabile nervosismo da traffico, l’accecante potere della fretta, la produttività, il lavoro, la famiglia, i bambini a scuola, la visita in ospedale, l’impegno x e quello y.
Dentro un colpo prolungato di clacson ci può essere frustrazione, tutto quello che non si è riusciti a fare nella vita e tutto quello che si è fatto senza averne tratto piena soddisfazione, ansie figlie di madri e padri e ansie madri e padri di altri figli.
Ci sono il costo della vita e se piove il governo è più ladro del solito.
Nonostante tutto ciò, continuo a non capirli.
Tra l’altro poi con un rapidissimo effetto contagio, il gesto viene emulato, si diventa parte di un orchestra imbestialita e le mani aperte sui clacson diventano un invincibile esercito di produzione del rumore caotico che non ha concorrenti nella storia del rumore caotico.
Nella ventina di lavori che ho fatto nella mia vita, c’è stato quello del fattorino.
Fare il fattorino in una città come Palermo è un’esperienza importante, formativa e deformativa allo stesso tempo per tante ragioni. Ma questa è un’altra storia e forse ne approfitterò per inaugurare una’altra rubrica dal titolo “I lavori che ho fatto”.
Comunque, per rimanere inerenti a questo post la mia proverbiale pazienza è stata messa a dura prova e, in effetti, per arrivare a completare il giro dei depositi alla guida ne combinavo diverse.
Fino a quando mi vergognai di me perché, sulla corsia opposta alla mia, mi trovai di fronte un collega fattorino il cui inesorabile labiale apriva una nuvoletta da fumetto con dentro scritto in grassetto, corsivo e sottolineato insieme uno stupefatto “Ma che fai?”
Però persino in quella dimensione lavorativa, nella quale arrivare a destinazione era una delle principali ragioni d’essere del mio quotidiano, io il clacson prolungato non lo suonavo.
E pur di non farlo, per l’appunto, mettevo la freccia e finivo nella corsia opposta in controsenso.
A proposito, non ho mai capito quell* che non mettono la freccia..
Posted: Ottobre 3rd, 2020 under Le cose che non ho mai capito.