Ivan Zamorano, aneddoti sparsi su un guerriero del campo
Nelle biografie di ogni appassionato di calcio capita spesso di innamorarsi, sportivamente parlando, di uno dei calciatori della squadra per la quale si sostengono le sorti. A volte succede addirittura di voler prendere le sembianze di quel calciatore: di comprarne la maglietta della nazionale di appartenenza, un polsino bianco per asciugarsi il sudore, un elastico o un cerchietto nero per frenare l’impeto ribelle del capello lungo.
A me è successo. Perché a discapito di doti tecnico-atletiche non eccelse, mi accomunavo idealmente a quel calciatore la grinta (che non risparmiavamo, lui in giro per il mondo e io nei modesti campi di calcetto dimenticati dal Dio del pallone che conta).
Correva l’anno 1996 e i miei tredici anni (che negli anni ’90 erano molto più tredici di oggi) erano ancora fertili per l’ostinata creazione di idoli, poster in camera e acquisti di bustine di figurine Panini.
Quell’idolo, per me, si chiamava Ivan Luis Zamorano, affermato centravanti cileno che alla soglia dei trent’anni lasciava il Real Madrid, con il quale aveva collezionato un centinaio di reti, vari successi personali e di squadra, per approdare a Milano, sponda nerazzurra. La mia sponda.
Ivan Zamorano, soprannominato Bam Bam, non lasciò il segno all’inizio della sua esperienza italiana. E -in termini di reti- neanche alla fine. Parecchi attaccanti furono più prolifici di lui.
Ma da subito si fece notare per la sua combattività. Non si risparmiava in nessuna partita, amichevole o partita ufficiale. Pressava come un dannato i difensori avversari, portiere compreso. Scattava, si proponeva in profondità, attaccava gli spazi, tornava in difesa, rincorreva tutti, faceva da sponda per i compagni. Soprattutto di testa, il suo marchio di fabbrica.
Non altissimo, 179 cm, ma ci arrivava sempre lui. Una capacità di elevazione che spiegò col suo allenamento a colpire il lampadario di casa quando era un piccolo aspirante calciatore. Qualcuno disse che non saltava, “scendeva direttamente dal cielo”.
Ne fece tanti di testa, tra i 41 gol complessivi delle sue cinque stagioni all’Inter (alcune sfortunate a causa di infortuni di un non più giovanotto del Fùtbol).
Ne ricordo uno di gol in Coppa Uefa contro lo Spartak Mosca, quando indicò a Ze Elias dove voleva fosse messa la palla, in occasione di un calcio di punizione nel gelo di Mosca.
Ma qualche bel gol lo fece anche di piede. Uno, indimenticabile, di tacco contro il Napoli su assist di Checco Moriero, una delle ultime ali degne di questo nome del calcio nostrano.
E chi se lo dimentica il bellissimo gol con il quale aprì le danze contro la Lazio, nella vittoria della Coppa Uefa del 1998, unico suo titolo (e anche mio, visto che, quando fu smantellata la squadra di Gigi Simoni smisi praticamente con l’interismo). Ne conservo la registrazione in videocassetta di quella partita: trascrissi e memorizzai la cronaca di quel gol e l’indomani lo rendicontai ad un caro compagno milanista, con tanto di intonazione alla Bruno Pizzul!
Ronaldo “il Fenomeno” che giocò e timbrò anche quella partita, fu premiato come miglior giocatore del match, ma il giornalista Tosatti -nel commento postpartita- diede idealmente a Ivan Zamorano quel premio. Lo giustificò non solo con la prima delle tre reti nerazzurre messa a segno dal cileno ma anche con un clamoroso doppio palo e con la sponda di testa che propiziò il secondo, gran gol, dell’amico argentino Javier Zanetti.
Quello fu un anno incredibile per l’indio, capitano protagonista di quella nazionale cilena che trascinò, insieme al forte compagno di reparto Marcelo Salas, nel percorso alle qualificazioni per il mondiale di Francia ’98.
In quel mondiale il Cile si fermò agli ottavi contro il Brasile ma si tolse la soddisfazione di strappare un pareggio all’Italia di Cesare Maldini e dei vari Nesta, Cannavaro, Baggio, Del Piero, Vieri.
Inutile dirvi che in quella partita io facevo il tifo per il Cile…
Ma, facendo un piccolo passo cronologico indietro, il ’98 fu anche l’anno in cui gli episodi arbitrali a favore della Juventus sfioravano il surreale: tra questi, il celebre contatto Iuliano-Ronaldo, giudicato regolare dall’arbitro Ceccarini.
Ivan Zamorano entrò fortuitamente in quell’azione e fu uno di quelli che inseguì l’arbitro che pochi secondi dopo, nel capovolgimento di fronte, avrebbe assegnato un beffardo penalty ai bianconeri -per un contatto West – Del Piero- calciato da quest’ultimo e parato da Gianluca Pagliuca.
E fu tra coloro che continuarono a recriminare nel tunnel che portava agli spogliatoi e ricevettero varie giornate di squalifica, in compagnia di Mister Simoni, reo di aver esclamato più volte ‘Si vergogni!’ all’indirizzo del Signor Ceccarini.
Potrei continuare ad oltranza con gli aneddoti ma ne riduco il pericolo dell’infinità a un paio.
Ivan Zamorano era un numero nove. Un nove puro, una seconda punta. Dovette privarsi di quel numero per cederlo a Ronaldo ma s’inventò un geniale 1+8 e se ne riappropriò (in un modo tutto suo…).
Il secondo rimanda alla saga contro lo Schalke 04. Nel 1997 l’Inter del discusso Roy Hodgson perse la finale di Coppa Uefa ai rigori contro i tedeschi: Zamorano pareggiò i conti dell’andata con un gran gol a sei minuti dalla fine dei tempi regolamentari, ma insieme ad Aaron Winter fallirà dal dischetto nella lotteria dei calci di rigori.
L’anno dopo il destino offrì la vendetta ai quarti di finale. Prima della partita di andata Zamorano dichiara di avere “la sangre en los ojos” (il “sangue negli occhi, ndr) e si allena talmente tanto nel battere i rigori che finisce per infortunarsi proprio nella battuta di un penalty, pregiudicandosi la prima della doppia sfida.
Per concludere, per testimoniare il segno lasciato da Bam Bam tra i suoi tifosi, consiglio sempre la visione del filmato dell’addio in lacrime ai nerazzurri che popolavano S.Siro quel pomeriggio di quasi vent’anni fa. Lo trovate su Youtube. Dico sempre che non sarà facile trovare un saluto così vibrante ad un attaccante che ha segnato così poco.
Posted: Novembre 1st, 2019 under Scritti altri.