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La critica e la critica della critica. La visita di Matteo Salvini a Cefalù.

Nel pomeriggio di ieri, il tour siciliano del leader della Lega ha fatto tappa a Cefalù. Non sappiamo se l’autorizzazione negata a una manifestazione di dissenso a Piazza Colombo nei confronti di Matteo Salvini sia stata dettata da motivi di ordine pubblico legati ai dispositivi precauzionali in materia di contagio da Covid19 ma paradossale è risultato l’effetto dell’ingente dispiegamento di forze dell’ordine a tutela della passerella del capo politico della Lega.

Da una parte, tenuti a debita distanza, i possibili ”contestatori” e, nello spazio protetto, una massa assembrata (seppur di un numero non considerevole come in altri contesti), con mascherine random, di sostenitori, curiosi e collezionisti di selfie. Insomma a molti è sembrato che l’effetto sia stato di contraddire le misure nazionali e regionali in materia di Covid 19 e il tutto per un album di foto ricordo.

In un periodo nel quale si osserva il rispetto delle norme anti-contagio, soprattutto all’interno e all’esterno degli esercizi commerciali, dove si ritiene che potenzialmente le occasioni di aggregazione si possano tradurre in pericoli di assembramento, in un periodo in cui negli stadi di calcio si è ripreso a porte chiuse ed in cui si inaugura l’idea dell’inedito ballo a distanza nelle discoteche e, soprattutto, in un periodo nel quale ancora non si sa se in autunno gli scolari rientreranno a scuola accompagnati dal plexiglas(s), non sarebbe stato forse più opportuno ospitare l’evento in un luogo maggiormente deputato ad evitare i rischi dell’ormai vocabolo dell’anno, l’asssembramento?
Non stupisce perciò che tra chi rumoreggiava in piazza si trovavano anche titolari o lavoratori del settore della ristorazione e in generale del turismo che si vedono costretti a convivere con lo stress da riapertura a condizioni limitative della propria capacità produttiva. Settore per il quale tra l’altro è stata giustificata la visita del senatore.
Riguardo poi alla critica della critica, ci preme una nota di merito.

Sui social ci si imbatte in un tenore di argomentazioni che sembra comportino il rischio di fomentare l’odio non solo razziale e che poi si distribuiscono come metodo lungo la gerarchia del partito e del suo seguito elettorale. Così, senza ovviamente voler generalizzare, capita spesso che sia la voce del capitano o che sia quella dell’amministratore locale o che sia quella del fan con la maglietta verde si ascolterà spesso un giudizio della critica che è delegittimazione e insulto di chi la pensa diversamente.

Quindi si tratterà sempre di gente dei centri sociali (anche se a Cefalù non ve ne sono), tossici (ma da cosa si evince?), sfigati, comunisti (eterno tormentone), figli di papà (in realtà di giacche e cravatte, nonostante il caldo, se ne vedevano di più dall’altra parte). Dopo ieri temino anche gli (s)costumati accorsi dalla spiaggia, molti dei quali ignari della visita prevista.

Insomma sebbene il nome del partito, qualche faccia, le strategie politiche e di ricerca del consenso siano cambiate come capita un po’ in tutti i partiti politici, sembra che nei metodi di comunicazione sul confronto con gli avversari politici o semplici cittadini che esprimono liberamente il proprio dissenso in aderenza all’articolo 21 della Costituzione (c’è ancora, no?), la Lega sia rimasta fedele alla propria visione fideistica del noi e degli altri: noi i giusti, i sani, i produttivi, i coerenti.

Gli altri i brutti, sporchi e cattivi, nemici della patria (quella padana o quella italiana?).