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Ricordi fuori dal coro(na) prima parte

Nonostante le cose inquietanti, le morti, i contagi, le paure, le misure repressive e auto repressive.. Ricorderò che sono successe cose belle o quantomeno interessanti e potenzialmente rivoluzionarie. Mi sentivo tra Matrix e The Truman show con la speranza di vedermi il finale di Fight Club.

Finalmente il diabolico sistema del calcio main stream drogato di sponsor, finanza, diritti televisivi, piattume apolitico, tutti i calciatori con la stessa acconciatura, marionette viziate, le trasmissioni di approfondimento con una velina maggiorata di turno, doveva ridimensionarsi. Anche tutto il resto dello sport dei milionari, dalla Formula1 al tennis. E in gran parte tutto l’infernale, magico mondo delle scommesse legato allo sport.

E tutti quei teleprogrammi, show, quiz, quiz show col pubblico che faceva gli applausi a comando, finalmente senza la triste e deprimente comparsa del pubblico.

Assenza che ne svelava la pochezza, per usare un eufemismo.

Nessuno di noi avrebbe voluto che ciò si verificasse in conseguenza di una pandemia, ma forse paradossalmente riscoprivamo il sapore del disastro dopo essercene fottuti per tanti anni di quello di chi ci stava accanto e di quello degli altri, più o meno lontani.

Ricordo di non soffrire più di tanto e di non temere granché.

Le grandi città deserte in tv erano belle da vedere, Firenze soprattutto.

Non mi dispiaceva che il caos degli spostamenti globalizzati si fermasse, anche perché avevo praticamente smesso di spostarmi. Tutto questo viaggiare, tutti i selfie con i monumenti naturali o artistici in giro per il mondo, tutta questa omologazione della scoperta. Tutto ciò avrebbe fatto ricredere Dante facendogli togliere un avverbio di negazione e una congiunzione avversativa dalla bocca di Ulisse:

fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.

Insomma a casa con Google immagini ce la si poteva fare comunque, il mondo si era trasformato in immagini già da tempo per l’uomo occidentale.

Basta con lo spostamento per inerzia, ci muoveva tutto tranne che la curiosità o il primitivo desiderio della scoperta di un mondo pressoché totalmente scoperto e conosciuto superficialmente nella maledetta rete del web.

Riguardo ai viaggi di lavoro, poi non ne parliamo neanche.. Viaggio di lavoro o viaggio per lavoro, mi sa di ossimoro.

Proseguiamo: la sospensione del teatrino delle lauree, quello delle cerimonie religiose,  messe, comunioni, battesimi.

Molti si accorgevano da un giorno all’altro di poter vivere senza molte delle cose senza le quali non immaginavano possibile una società.

Ma adesso nessuno sapeva immaginarsi un mondo senza economia, senza produzione, senza aerei mentre a me bastava carta, penna, un libro e soprattutto la certezza dell’esistenza del mare.

Comunque. Resistevano Vespa , la D’Urso e altri volti telecomandanti delle reti pubbliche e private. E resistevano proprietari e affitta case che non ci pensavano minimamente all’ipotesi di abbassare i prezzi degli affitti e pensavano di poter vivere di rendita fin quando il denaro avesse continuato ad avere valore anche se temevano di doversi arrestare dall’imperterrito e continuo accumulo.

Ovviamente resistevano più che mai altra tele spazzatura e la rete con i suoi (a)social; l’appiattimento e l’omologazione social non cedevano il passo anzi rilanciavano in chiave compagnesca, farsi compagnia dicevano. Erano pochi a godersi una sana solitudine. L’iperinformazione e l’ipercomunicazione, autentica quanto devastante cifra antropologica degli ultimi dieci anni e per i prossimi chissà quanti, imperversavano sulla tematica del momento. Un nuovo trend psicosocial: facciamoci compagnia.

Molti riuscivano a far rumore quando il sipario del silenzio stava finalmente calando sul palcoscenico dell’umanità globale, messa in crisi da un essere minuscolo, più minuscolo di qualcosa di minuscolo. Ed impazzavano le video chiamate tra volti noti e tra comuni mortali, avevano difficoltà a fermarsi, a stare con se stessi, figuriamoci a ripensarsi.

Da un giorno all’altro la situazione precipitò. Le strade odoravano sempre più di Amuchina, nelle disumane patrie galere cominciarono le rivolte, i carri armati comparivano a Palermo, la zona rossa fu estesa a tutta la nazione, contagi e morti si moltiplicarono.

Neanche il più distopico dei film o dei romanzi era arrivato a prospettare l’impossibilità pubblica di un abbraccio, di un bacio, di una stretta di mano, la realtà superava l’immaginazione e si poteva uscire da casa solo per lavoro, necessità o gravi motivi di salute. La retorica dei messaggi delle reti pubbliche o dei vip testimonial martellava i reclusi, quelli che a differenza dei veri carcerati, volevano adesso restare prigionieri delle mura delle proprie case, ennesimo paradosso di questa vicenda surreale, per evitare il contatto e quindi il contagio.

Era la prima catastrofe della società delle libertà e dello spostamento. Scenario inedito, opera prima.

La maggior parte del popolo era sempre più favorevole alle misure drastiche, molti ammettevano di aver snobbato il problema, di averlo ridimensionato, trascurato, di non averne avvertito la pericolosità della facilità del contagio.

Era curioso vedere anche grandi imprenditori ed altri vips nelle loro case di lusso, sembravano ospiti o turisti anche lì e le loro interviste trasmettevano aria da reception.

Anche loro, che all’inizio scoraggiavano lo stop alle attività produttive, presero parte alla gara a chi diventava più oltranzista. Per un attimo ho pensato che sarebbero potuti entrare in casa e stabilire dei confini tra un familiare e l’altro o che, come mi suggerì un’amica, avrebbero potuto organizzare delle file, dei turni per andare a vedere il mare o per nuotarci.

Insomma quali limiti poteva avere il coprifuoco ancora non lo si poteva ipotizzare.

Intanto la psicosi si auto alimentava, ci si guardava a distanza, con diffidenza, ci si abituava velocemente alla distanza e al distacco. Non so perché ma mi sembravamo tutti talmente pronti a tutto ciò che quasi mi sembrava fosse tutto previsto, come un atto di un copione teatrale, o forse eravamo ormai semplicemente abituati a stare più sui telefoni o ad obbedire alle leggi, soprattutto in tempi di denuncia facile con i nuovi pervadenti mezzi tecnologici, droni, telecamere, smartphone e iphone.

E se avessero voluto controllare ogni persona che usciva da casa, dove avrebbero trovato tutto il personale necessario? Semplice, sono sicuro che in tanti in nome della salvezza della patria e attanagliati dal panico si sarebbero prestati volontariamente, o al massimo dietro un simbolico compenso, come agenti del controllo.

D’altronde sempre più lo facevano in rete, pronti a denunciare scandali in merito a leggerezze nella gestione dei transiti degli esseri umani e a fomentare l’attenzione pubblica sulla necessità della severità.

Insomma, eravamo alla mercé dei nostri rappresentanti politici che tutto facevano fuorché ammettere la distruzione della sanità pubblica degli ultimi trent’anni e che in combutta con gran parte dei vertici politici degli altri paesi europei non avevano deciso di contenere fin da subito l’espansione del virus.

Avrebbero potuto instaurare un governo nazionale d’emergenza per contenere eventuali disordini dovuti da fame o da stress da catastrofe qualora, per esempio, si sarebbe dovuto convivere tanto tempo con coprifuoco e leggi emergenziali.

Governo nazionale d’emergenza suona bene, mi sembrava demodé scrivere dittatura.

Sebbene in compagnia di un libro a tema di Foucault, Sorvegliare e punire, nascita della prigione, non sembrava il caso di poter stare tranquilli.

E’ pur vero, ed ormai lo si era capito un po’ tutti, avrebbero dovuto prendere di petto la situazione da subito sulla scia della lezione made in China.

Come disse un mio eminente amico, questo virus lo hanno fatto girare fin troppo. E perché avevano perso tempo a prendere misure drastiche, soprattutto in quella Lombardia sfortunata nel dover fare gli onori di casa al virus? Gli interessi, il lavoro, la borsa, il calcio, Milano e gli aperitivi, i soldi, i dannati soldi, non ci si poteva fermare, i posti di lavoro, gli investimenti, le fiere, gli eventi, il commercio tutto, i soldi, i dannati soldi, il sistema, l’economia, la finanza.

Dall’opposizione prima dicevano che Milano non si poteva fermare e poi hanno cominciato a partecipare con tantissimi altri alla competizione del chiudere tutto, no di più, no di più. Altri dicevano che morivano solo i vecchi, quindi potevamo stare sereni visto che quasi tutti ne avevamo almeno uno vicino, e di questi solo quelli con gravi patologie pregresse come se avessero accumulato i bollini spesa per vincere il Covid-19. Poi da un giorno all’altro giungevano notizie di giovani, meno giovani, bambini, neonati.

Insomma nell’epoca dell’iperinformazione si aveva sempre la sensazione di saperne sempre troppo poco. E comunque resistevano focolai di gente che avrebbero voluto continuare a fottersene ed in maniera molto meno romantica dei musicisti del Titanic.

Io mi sentivo relativamente poco intaccato da tutto questo disastro. Forte del mio sussidio Inps di 297 euro, ospite della modesta pensione di mio padre ed in eterna attesa di una casa che chissà per quanto tempo avrei potuto pagare, riprendevo da dove avevo lasciato.

L’allenamento del corpo e della mente, scrivere, leggere, la musica.

D’altronde la pensavo come Joker, che molti degli altri fossero più pazzi a convivere con le loro vite di quanto lo fossi io con la mia, quindi sapere che questi molti dovevano rinunciare allo spazio pubblico mi dava un po’ la sensazione che fuori si ripulisse un po’, che l’aria finalmente potesse respirare, le immagini di una Palermo spettrale mi faceva pensare che finalmente quella città si meritava un po’ di silenzio, di quiete, di pace.

Insomma che il campo fosse sgombrato dal superfluo, dall’apoteosi delle fughe da se stessi, dalla movida, dal fracasso dei vuoti esistenziali, dai coworking, dai nuovi ceti dirigenti, dalle carriere e dalla pianificazione e progettazione come paradigma anche nella lunga,infinita coda della modernità.

Valeva per Palermo, valeva per tutta l’Italia, valeva per molta Europa, valeva anche per altre parti del mondo.

La mia paura era per il dopo. Cosa ci sarebbe toccato? I lavori forzati, le tasse, i sacrifici in nome della ripresa della nazione, in nome della patria? Sarebbero tutti tornati alla normalità con grande entusiasmo, tutti alla propria alienazione con l’allegria nel cuore?

Insomma temevo che non cambiasse nulla se non in peggio, temevo la retorica della ripresa dalla catastrofe. Temevo di accorgermi di essere circondato, anzi di essere accerchiato dalla impellente voglia di riguadagnare ciò che si era perso. E la crisi con la C maiuscola al cubo avrebbe giustificato ulteriore sfruttamento.

Temevo un rilancio del consumismo su larga scala, consumismo di immagini, di progetti, di viaggi preconfezionati, magari con un impronta più ecologista  e di casette col giardino per la prossima epidemia. Cercavo una casetta economica col giardino da quasi due anni, le cose erano destinate a complicarsi..