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Uno su mille e novecentonovantanove

Con falsati desideri lavorativi, spesso indotti dai genitori, è cresciuta e cresce una moltitudine di esseri umani dell’universo civile, democratico e occidentale. Cullati da aspettative e pressioni familiari e sociali veniamo assediati da due imperativi.

Innanzitutto il cosa-si-deve-fare, questione che precede il cosa-si-deve-essere e anzi ne inghiotte il significato distinto; parallelamente la speranza e il sogno di sfondare da qualche parte, a volte per non dover soffrire problematiche di natura economica ma quasi sempre per una diffusa e condivisa smania di gloria. Magari finire sul giornale, in tv, star del web e ovunque possa farci sentire orgogliosi di noi e del nostro percorso biografico, all’insegna di un ormai consolidato narcisismo individualista.

Sappiamo benissimo che tra i figli del popolo in pochi riusciranno a realizzare quel sogno: una parte, ben che vada, finirà a lavorare nei call center, nei supermercati, nelle fabbriche, nei negozi e l’altra proverà a barcamenarsi nei circuiti del lavoro nero occasionale e della tanto rinomata illegalità, a far fronte allo stigma sociale che ne seguirà e all’impossibilità di accedere a qualsiasi possibilità di impiego.

I figli dei ricchi, mal che vada, comunque rimarranno ricchi.

Riflettendoci, da un punto di vista educativo, l’induzione a diventare un campione in qualche settore dovrebbe essere quanto meno affiancato se non addirittura preceduto dalla messa al centro dell’importanza della convivenza insieme agli altri: l’esserci a fianco dell’altro contro ogni ingiustizia, prevaricazione, prepotenza.

Alla fine lo si sa, solo uno su mille ce la fa per cui sembra matematicamente logica la necessità di educare all’attenzione verso l’altro visto che tolto quell’uno ne rimarranno novecentonovantanove a dover rimanere con i piedi per terra e a dover fronteggiare le ingiustizie della vita di tutti i giorni.

Per esempio, la moribonda scuola pubblica nostrana potrebbe ripartire da qui: il mutuo soccorso come corso, materia, momento. Altro che voti, invalsi e meritocrazia. Educare ad aiutare e non a primeggiare.